Rivendicazione dei diritti della donna: l’emancipazione femminile comincia da te

8 Marzo 2014
Condividi su

 

Mary-Wollstonecraft-diritti-della-donna

Ritratto di Mary Wollstonecraft, John Opie, 1797.

 

Non mi piace essere definita, questa è la verità, se non con il mio nome: Elena Borghi.

Qualunque altra definizione mi va stretta, mi soffoca proprio.

Così penso a come dovesse sentirsi Mary Wollstonecraft quando, in pieno secolo vittoriano (n.1759/m.1797, ndr) venne definita “iena in gonnella” in quanto manifestante concreta contro una certa faziosità sociale, espressa in termini educativi atti a creare molte più differenze tra uomo e donna rispetto a quelle che Madre Natura avesse poi, di fatto, considerato quando li creò.

Figura assai controversa, la Wollstonecraft suscitò le critiche sia da parte degli uomini divulgatori di tale educazione discutibile, sia dalle intellettuali femministe inglesi dell’epoca che la ritenevano troppo schiava delle sue passioni e lontana dalla razionalità, sinonimo di vera libertà.

La Wollstonecraft, che ha già molto di sé nel suo cognome con quel “mestiere di pietra” (-stonecraft) serbato nel DNA, affrontò prove dure, in una società che la vedeva sola poiché credeva nella parità tra uomo e donna ma non escludeva che vi fosse una differenza di ruoli. In “A vindication of the rights of Woman” (“Rivendicazione dei diritti della donna”), un progetto educativo che non considera le donne come femmine ma come creature umane, intese le donne come esseri fondamentali della società in quanto a loro volta educatrici dei propri figli. Scriveva: «Nell’ordinamento del mondo naturale, si può osservare che la femmina, in generale, è fisicamente inferiore al maschio. Il maschio insegue, la femmina concede – questa è la legge della natura; e non verrà certo sospesa o abrogata in favore della donna. Questa naturale superiorità fisica non può essere negata – ed è, anzi, una nobile prerogativa! Ma non contenti di ciò, gli uomini si adoperano per trasformarci in momentanei oggetti del desiderio; e le donne, intossicate dall’adorazione con la quale gli uomini, sotto l’influsso dei sensi, le appagano, non si sforzano di ottenere un interesse duraturo nei loro cuori, o quantomeno di diventare le amiche di chi trae gioia della loro compagnia.»

Curiose similitudini con la nostra società, non trovi?

La Wollstonecraft sin da giovane si rese indipendente dalla famiglia d’origine lavorando, viaggiò sola per osservare da vicino gli esiti della Rivoluzione Francese ed è nella Parigi del terrore che amò appassionatamente e tormentatamente l’americano Gilbert Imlay il quale da lei non voleva che un’avventura. Ebbero una figlia, Frances ma quando la piccola si ammalò di vaiolo, l’avventuriero Gilbert, chiaramente non interessato alla vita famigliare, cominciò ad allontanarsi per lunghi viaggi che gettavano Mary nella più totale disperazione. In una lettera a lui diretta scrisse: «Mi potrai rendere infelice, ma non riuscirai a rendermi spregevole ai miei occhi».

Viaggiò ancora, questa volta con la figlioletta, per Svezia, Norvegia e Danimarca, osservò il mondo (seguitamente a quell’esperienza pubblicò “Letters written during a shot residence in Sweden, Norway and Denmark”) ma, lasciato Gilbert definitivamente, cadde in una profonda depressione che la portò a tentare il suicidio. Uscita dalla depressione, ritrovò i vecchi amici del circolo intellettuale tra i quali William Godwin, il quale la riconobbe come un genio da rispettare.

Lei e William cominciarono una relazione, Mary rimase incinta e successivamente a ciò, decisero di sposarsi nonostante entrambi non credessero nell’istituzione del matrimonio, portando avanti la loro vita coniugale in due case separate per mantenere la propria indipendenza. La loro unione durò pochi mesi poiché a seguito della nascita di Mary Wollstonecraft Godwin (nota poi come Mary Shelley) Mary Wollstonecraft morì di setticemia. Scrive di lei il marito: «Credo fermamente che non esistesse una donna eguale a lei al mondo. Eravamo fatti per essere felici e ora non ho la minima speranza di esserlo mai più.»

Ti racconto questo non per fare “il compitino” ma per fornirti esempi concreti del fatto che la Wollstonecraft amò, seppe essere madre, non fu razionale come le intellettuali femministe dell’epoca ritenevano opportuno essere quindi, tutto sommato, io la vedo come una di noi. Discostarsi dai sentimenti pareva l’unica via di fuga per la donna in cerca di libertà ma la Wollstonecraft non ci stette e non volle manifestare contro la natura emotiva della donna bensì contro: «(…) un sistema educativo sbagliato, imbastito su libri scritti sull’argomento da uomini, i quali, considerano le donne più come femmine che come creature umane, avevano maggiore interesse a farne amanti seducenti piuttosto che mogli fedeli e madri razionali; e l’intelletto delle donne è stato talmente raggirato da queste false lusinghe che alle donne civilizzate di questo secolo, con poche eccezioni, preme unicamente ispirare amore, mentre dovrebbero nutrire ambizioni più nobili ed esigere rispetto per le loro capacità e virtù.»

Non sembra anche a te che, nonostante tutto, ci sia ancora molta consapevolezza da coltivare? Che il sistema sociale del Settecento non sia poi così diverso da ora, generalmente parlando, in questo nostro Pianeta? In tutte le latitudini, in tutte le culture.

E allora donna, parti da te, guardati, osservati e arriva a dirti chiaramente che lotta hai fatto, nel tuo piccolo, per fare la differenza. Non porti come minoranza vittima di un sistema ma come autrice della tua emancipazione.

Grazie a Mary Wollstonecraft e Auguri, con la a maiuscola, a te.