L’integrazione ai tempi di Cècile Kyenge Kashetu

30 Aprile 2013
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I mezzi pubblici non li prendo quasi mai ma, quando lo faccio, raramente non mi donano perle di vita vera.

Sono sull’autobus 54 della linea ATM di Milano, direzione Lambrate. Chi mi legge sa che la Linea 54 mi regala sempre molto (rileggi il post QUI)

In piedi vicino a me un gruppo di adolescenti filippini. Dress code: pseudo-rapper-pseudo-chic-pseudo-tecno.

Come tutti gli adolescenti del mondo, sono bellissimi, pieni di gioia, dividono le cuffiette per ascoltare la musica in due e, intanto, chiacchierano, ad alta voce, in filippino.

Una voce ATM registrata indica il nome della fermata a venire. Ad accompagnarla, una scritta a scorrimento orizzontale in luce led rossa.

“Fermata Porto di Classe” dice la voce ATM registrata e intanto leggo scorrere.

“Oh, è la nostra raga”” dice un filippino in perfetto italiano con fortissimo accento milanese.

“Oh, zio, ma alla fermata Porto di Classe bisogna scender pettinati?” risponde un altro.

Risata fragorosa e integrale. Scendono tutti, L’autobus si svuota di gioiosità irresponsabile.

La mia mente mi dice che le filippine, in qualche modo, c’hanno perso e l’Italia c’ha guadagnato.

Ah, comunque se sai leggere correttamente  il nome del ministro per l’integrazione nel nuovo governo Letta, una poltronissima a Montecitorio io dico che te la meriti.