Magic in the moonlight film: recensione in pillola

5 Dicembre 2014
Condividi su

 

magic-in-the-moonlight-recensione

 

 

LaBorghiFilmFestival  presenta “Magic in the moonlight” ultima fatica dell’idolatrato Woody Allen, ormai definitivamente votato al fast-food cinematografico, ovvero: tanto sapore, poca sostanza.

Una pellicola che non mi lascia nulla se non la nostalgia verso la moda fashion anni ’30 e il fastidio da dialoghi sommari, con l’aggiunta della noia di una sceneggiatura dal grado di prevedibilità sconcertante e lo sgomento nel vedere la pur brava Marcia Gay Harden mortificata nei panni della madre della protagonista, un personaggio senza senso che neanche viene raccontato. Insomma, l’ennesima conferma che no, a me Woody Allen non piace se non quando fa film che non sembrano suoi. Tipo “Match Point” e “Blue Jasmine” per intenderci.

Tuttavia a “Magic in the moonlight” riconosco il raro dono di avermi intristita oltre che non avermi fatto ridere se non di un riso amaro visto che Sophie, la medium protagonista interpretata dalla particolare bellezza di Emma Stone, la quale, nell’ovvia sceneggiatura, è inevitabilmente innamorata di quel gran manzo di Colin Firth che interpreta Stanley, l’illusionista assoldato per smascherare le sue fandonie esoteriche, ecco, lei si sente dire una serie di cose in risposta al suo amore che io, di riflesso ho sentito dire da gran parte degli uomini della mia vita. A eccezion fatta di quelli veramente innamorati di me che, ovviamente erano disturbati da varie, gravi patologie riscontrabili in quasi tutti i manuali di psicologia, ma vabbè.

L’unico dono di questo film è avermi rimembrato ancor la sciocchezza di certi uomini che davanti all’amore rispondono con cinismo, che spesso sono così trincerati nella lontananza verso i propri, veri sentimenti da essere innamorati di una donna e neanche saperlo, a tal punto da disprezzarla e, meglio, umiliarla pur di difendersi da quell’essere speciale che, solo potenzialmente, potrebbe far abbandonare la loro confort zone chiamata “Mettersi in discussione mai, crescere nemmanco”.

Ecco che quindi oltre a non avermi fatto ridere neanche questa volta e ad avermi annoiata fino allo sbadiglio, caro Woody, ti detesto anche per avermi ricordato che la mia vita sentimentale è banale, patetica e scontata oltre che costellata da irreprensibili uomini senza palle, anzi, degli illusionisti per dirla come la tua sceneggiatura.

E allora fai come me: prenditi una pausa dal cinema come io l’ho presa dagli uomini. Magari poi ritrovi un altro slancio.